domenica 25 novembre 2007

UN VENTENNE CI SALVERA'

Esistono sostanzialmente due orientamenti, entrambi accettabili, rispetto alla condizione giovanile oggi: il primo dice che i giovani, intesi come categoria sociale, esistono, il secondo che non esistono.
Nel primo caso si ipotizza non solo che la gioventù rimanga lo stadio di passaggio tra infanzia ed età adulta, ma che questa condizione, con tutti i suoi limiti di dipendenza economica e culturale, possa essere protratta indefinitamente. Il periodo di studi si allunga, la permanenza in casa dei genitori anche, mentre le scelte di vita e le responsabilità conseguenti si allontanano.
Nel secondo caso invece si tende a vedere un percorso non così strutturato ma molto più indefinito dove gli individui cambiano idea, avanzano e indietreggiano senza paura sull’immaginaria linea dello sviluppo. Giovani che smettono di studiare e poi ricominciano e che magari nel frattempo si sono sposati per poi divorziare.
In entrambi i casi risulta evidente che i giovani di oggi lasciano genitori estremamente permissivi e si dirigono verso un mercato del lavoro flessibile ma spietato.
Nel contempo hanno acquisito abitudini sessuali estremamente aperte e sotto la spinta di un individualismo prorompente non riconoscono la trasgressione in niente di quello che fanno. Se è consenziente non è trasgressivo. Da soli sviluppano un etica autoportante, poco condivisa, diversa a seconda delle esperienza personali. E da soli definiscono un’area eticamente neutrale, dove niente è bene o male.
Tra i venti e i trenta anni c’è un mondo nuovo, un continente completamente inesplorato, a molti incomprensibile, a cui la società italiana riserva poco o quasi nessuno spazio.
Per citare un caso eclatante ma veramente esplicativo, l’Italia ha il record di spesa pensionistica, la previdenza sociale assorbe il 63,5 % delle risorse per il welfare contro il 46,6 della media europea. Per disoccupati, madri, famiglie e giovani in cerca di una occupazione rimane il 6,1 della spesa sociale, un terzo di quella europea. Il welfare italiano è un sistema di tutele rivolto soprattutto a chi è uscito dal mercato del lavoro a danno di chi lavora o vorrebbe farlo, un sistema iniquo e inefficiente straordinariamente attento al passato e incurante del futuro.
Siamo, oltre a ciò, il paese più vecchio del mondo dopo il Giappone e con un tasso di fecondità tra i più bassi del pianeta.
Politicamente abbiamo la classe dirigente più vecchia del pianeta: nessun Zapatero o Sarkozy quarantenne all’orizzonte, nessun politico in grado di parlare una lingua se non uguale almeno simile a quella dei giovani.
E in questo quadretto desolante ci si mettono anche problemi non da poco come l’anoressia, la bulimia, l’uso di droghe ed alcool, la depressione.
Eppure gli attriti non si risolvono in scontro.E’ come se venissero assorbiti socialmente e i ragazzi riuscissero a muoversi nel mondo con una libertà sorprendente. Non solo. Ma pare che il mondo e i mezzi di comunicazione si pieghino verso di loro, apparentemente gli unici capaci di comprenderne la complessità. Mentre i quarantenni, la cosidetta generazione del network, stanno imbambolati a tentare di capire come si fa un blog, i ventenni fuggono come razzi davanti a loro e reinventano il web in continuazione. Mentre i cinquantenni finalmente capiscono che non sono riusciti a cambiare le cose neanche in parte, i teen agers gettano rapidamente le basi per un sistema che darà a tutti la libertà di crearsi il mondo che si vuole.

sabato 17 novembre 2007

RIBELLIONI ED ALTRE STORIE

Nel 1951 J.D.Salinger pubblica “Il giovane Holden” raccontando le ansie di quelli che oggi chiamiamo teen-agers ma che all’epoca non avevano neanche un nome.
La rabbia con cui Holden Caufield combatte contro il mondo diventano materia di narrazione per la prima volta. Una ribellione all’ordine precostituito, allo stato, alla famiglia borghese, a un insieme di regole troppo strette. Ma anche a un mondo in cui non ci si può muovere liberamente, in cui il principio di piacere è negato o nel quale non si riesce ad vedere un futuro certo.
E la ribellione è, per tutti, un fondamentale momento di maturazione.
Nel 1951 gli Stati Uniti combattevano una improbabile guerra contro la Corea, davano inizio in Nevada a nuovi test nucleari, sviluppavano una strategia del terrore sotto il nome di maccartismo condannando a morte i coniugi Rosenberg ma contemporaneamente davano spazio alla generazione Beat: Gregory Corso, Allen Ginsberg, Jack Kerouac e al rock ribelle di Elvis Presley.
E preparavano il terreno per accogliere le istanze del neonato movimento gay che esploderanno con Stonewall.
Ribellarsi è sicuramente ancora necessario. Ma è opinione diffusa che i ventenni di oggi non ne siano capaci. Che passino ore a guardare lo schermo di un pc o di una tv o di un telefonino. Ne ho parlato anch’io nell’articolo scorso.
Invece i ventenni si ribellano eccome. Ogni giorno che Dio manda in terra.
Solo che hanno abbandonato l’idea di erigere barricate.
Forse perché gli arditi no global del G8 di Genova del 2001 sono stati picchiati, torturati e accusati ingiustamente e uno di loro, Carlo Giuliani ucciso o solo perché l’episodio, fra tanti che si potrebbero citare, lascia poco spazio a romanticismi barricaderi neosessantottini.
O perchè i modelli rivoluzionari sono rappresentati al massimo dal pacioso Al Gore e gli idoli generazionali insegnano un mondo totalmente autoriferito, che passa attraverso l’affermazione, prima di tutto fisica, del singolo individuo. Paris Hilton per intenderci.
Archiviata la sonnolenta generazione X degli anni novanta, venuta su in epoca di controriforma, i ventenni sanno che loro stessi sono il messaggio. Hanno cambiato corpo, fisicità, modi di vestire e di parlare per differenziarsi e per sopravvivere.
Improvvisamente non sono più sani, abbronzati e palestrati ma magri e pallidi. Hanno abbandonato i jeans stracciati e le t-shirt troppo ricamate per tornare ad interessarsi in maniera creativa di moda. Hanno superato gli entusiasmi millenaristi di chi pensava che internet fosse una rivoluzione in sé e hanno cominciato a riempirla di contenuti , ad usarla come fosse casa loro senza andarci a vivere dentro. Stanno trovando modi di comunicare impensati, in realtà rivoluzionari, che hanno sempre e solo a che vedere con sé stessi. I diari, che una volta si tenevano chiusi a chiave nel cassetto, ora stanno sotto gli occhi di tutti attraverso blog, myspace, facebook o flikr. La parola d’ordine è trasparenza, eliminazione dei filtri, feedback immediato, istintività colloquiale.
Il metodo, per chi, come i quarantenni di oggi, è abituato a raccontarsi attraverso delle maschere, disarmante.
E’ una società nella società, completamente autoportante, con altre regole, altri bisogni, altre reazioni, spesso incomprensibili a chi non ne fa parte.
E’ una ribellione senza armi che sarebbe piaciuta a Ghandi, che non è costruita attraverso un pensiero di rottura ma per necessità di sopravvivenza.
E per necessità di sopravvivenza mette in gioco prima di tutto il singolo.